I prodotti a denominazione comunale De.Co.

Il noto giornalista Gino Veronelli, cultore dell’enogastronomia italiana, fu il primo a sostenere che i prodotti tipici sono l’essenza e l’emblema del territorio comunale dal quale provengono; li definì “prodotti a denominazione comunale” da valorizzare opportunamente in quanto, questi prodotti, non avendo le caratteristiche richieste dalla normativa comunitaria, non avrebbero potuto fregiarsi dei marchi di tipicità e di qualità europei  DOP, IGP, STG.
L’intuizione di Veronelli venne accolta dall’ANCI che propose il “Marchio D.E.C.O. (Denominazione Comunale di Origine) ed il format per le delibere di consiglio comunale per l’approvazione e l’istituzione delle De.c.o. nei singoli comuni. L’idea della Denominazione Comunale di Origine si diffuse rapidamente, ma venne bloccata sul nascere dal Ministero dell’Agricoltura per presunta incompatibilità con le norme comunitarie sulla denominazione di origine. Veronelli ed i suoi seguaci cercarono di giungere ad una soluzione compromissoria col Ministero, che nel 2005 si manifestò con la volontà di attribuire a questi prodotti, tipici ma privi di tutela e riconoscimento normativo, la Denominazione Comunale (privata della parola “origine”) che doveva fungere da strumento di valorizzazione e marketing territoriale, con l’obiettivo di censire le produzioni caratteristiche di un territorio. Dal 2005 il progetto veronelliano non ricevette alcun riscontro normativo, e l’idea che aveva mosso l’ANCI si concretizzò in numerose iniziative autonome e differenziate in tutta la penisola con l’attribuzione di De.c.o., De.Co. o Deco.
L’ANCI abbandonò il progetto De.c.o. e lo trasformò in “Res tipica”, attivando le cosiddette associazioni comunali “di identità” quali, solo per fare alcuni esempi, le Città del vino, Città dell’olio, Città del pane, Città dei sapori, Città della Castagna, alcune delle quali operano efficientemente sul territorio. E’ancora ignoto quale fu il vero motivo che determinò l’abbandono del progetto De.c.o. dall’ANCI e dal Ministero dell’Agricoltura, molto probabilmente fu determinato dal fatto che vennero tralasciati alcuni aspetti tecnici e procedurali che ne avrebbero permesso il decollo, mentre predominarono gli aspetti giornalistici e pubblicitari dell’iniziativa; inoltre le delibere comunali di adozione della De.c.o. erano molto generiche e prevedevano meccanismi lineari ma poco efficaci e concreti. Ma la problematica principale stava nel fatto che, con molta superficialità, si parlava in ambito De.c.o. di “prodotti tipici”, di “prodotti di qualità”, di “qualità legata all’origine”, di “certificazione”; ciò determinava quell’incompatibilità normativa, giustamente contestata dal Ministero competente, anche se fondata su un’interpretazione autentica restrittiva della norma (visto che la De.c.o. non era un “marchio di qualità”) basata su una rigida interpretazione ed applicazione dei regolamenti comunitari di riferimento sulla tipicità e la denominazione di origine (Reg. Ce 2080/91 e Reg. Ce 2081/92, oggi Reg. UE 510/2006). Contemporaneamente però sul sito del Mipaaf i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT), censiti nell’ Albo specifico (D. lgs n.173/98 e DM n. 350/1999), venivano ingiustamente definiti “tipici”, ed il Ministero competente, in modo incontestabile, spesso ha cofinanziato in convenzione la
valorizzazione dei prodotti “Presidio Slow Food”, i quali nella loro denominazione prevedono i nomi geografici di provenienza.
Questa apparente incongruenza sulle De.c.o. avrebbe potuto essere superata applicando correttamente le norme a favore della valorizzazione delle produzioni agricole, agroalimentari, tradizionali da parte dei comuni, non rendendo vani gli sforzi e gli obiettivi dell’ANCI e delle numerose personalità, amministrazioni comunali ed associazioni che diffusero e difesero l’idea della “denominazione comunale” ed il “Progetto De.c.o.”.
Il progetto De.c.o. è ancora attuabile ed è compatibile con la normativa vigente, ed alcune iniziative concrete, attuate in tutta la penisola italiana, ne sono la testimonianza e sono da considerare esempi positivi dal punto di vista legislativo e tecnico- amministrativo, in grado di realizzare gli obiettivi del progetto De.c.o. (fuoriuscita dall’anonimato dei prodotti del territorio, valorizzazione reale lungo la filiera, maggiore valore aggiunto dovuto proprio al marchio ed al piano di comunicazione correlato, stimolo nei confronti dell’associazionismo e della cooperazione, attuazione concreta del marketing territoriale ed identificazione del prodotto con il territorio comunale e la sua storia, promozione del territorio e delle sue risorse, realizzazione di economia, occupazione ed indotto locale, salvaguardia della biodiversità). Quindi si può liberamente parlare di De.c.o., basta prestare attenzione alle definizioni di essa ed affrontare l’argomento in maniera tecnica e procedurale coerente rispetto alla normativa vigente. Con le opportune cautele ciò poteva essere fatto originariamente, ma il contesto odierno nazionale e comunitario è cambiato e si presta meglio  a determinati ragionamenti per la creazione di un percorso di sviluppo integrato comunale che preveda la De.c.o. ed il marketing territoriale come fattori per lo sviluppo del territorio.
Oggi in Italia si parla di De.Co. perdendo “l’origine” nella qualificazione del prodotto, ma ciò che identifica, caratterizza, differenzia e rende unico il prodotto è la sua provenienza, che lo lega ad un determinato territorio comunale di cui ne è emblema, essendone dunque “prodotto identitario ed esclusivo”.
Riprendendo l’idea originaria dell’ANCI, nel rispetto della normativa vigente, bisogna chiarire che i prodotti De.c.o. non possono essere definiti prodotti di qualità o prodotti tipici; la loro origine non è tale da determinarne una qualità maggiore e le loro caratteristiche qualitative e la loro “reputazione” non dipendono dall’origine; il loro marchio non ne dimostra una qualità maggiore ma semplicemente la provenienza; il marchio è privato (“private label” comunale) e ad uso collettivo previa concessione; il comune non certifica alcun tipo di qualità ma attesta, previo controllo e verifica, l’origine del prodotto e le sue caratteristiche rispetto al Disciplinare (un ente terzo di certificazione potrebbe però validare il Disciplinare stesso); l’istituzione della De.c.o. da parte di un Comune, oltre che percorso di sviluppo e di marketing territoriale è strumento di valorizzazione e di censimento delle produzioni agroalimentari ed artigianali locali; la De.c.o. è attribuibile a produzioni agricole, agroalimentari ed artigianali ma è da evitare accuratamente l’attribuzione di marchio De.c.o. a vini, oli, ed altri prodotti che già sono a marchio DOP, IGP, STG, IGT, DOC.
Non esiste una norma che definisca la De.c.o. , ma numerose leggi la supportano e consentono di dimostrarne la legittimità di essa. La normativa a supporto della De.c.o. è la seguente:
“- La L. 8 giugno 1990 n. 142 (e successiva legge del 3 agosto 199 n. 265) che consente ai comuni la facoltà di disciplinare nell'ambito dei principi sul decentramento amministrativo, la materia della valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali che risultano presenti nelle realtà territoriali;
- Sulla scorta delle sentenze della Corte di Giustizia europea del 1991, del 1992 e del 1998 (rispettivamente denominate "Torrone di Alicante", "Exportur" e "Birra Warsteiner"), anche un prodotto Deco può essere inteso quale prodotto a marchio ad "indicazione di origine geografica semplice" da tutelare (senza implicazioni di rapporti tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica) e quale prodotto da censire opportunamente e salvaguardare dall'eventuale estinzione in quanto ad alta valenza di biodiversità.
- Il D. Lgs 18 agosto 2000 n. 267 (artt. 3 e 13) e la LEGGE COSTITUZIONALE n. 3 del 18 ottobre 2001, che consentono ai Comuni di tutelare e garantire i diritti e gli interessi pubblici derivanti dalla presenza di espressioni popolari riguardanti le attività agroalimentari, in quanto rappresentative di un rilevante patrimonio culturale;
- Il D. Lgs. 228/01 (Legge di orientamento in agricoltura) in merito alla tutela dei territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità, per cui il Comune è tenuto a tutelare e a garantire il sostegno al patrimonio di tradizioni, cognizioni ed esperienze relative alle attività agroalimentari riferite a quei prodotti, loro confezioni, sagre e manifestazioni che, per la loro tipicità locale, sono motivo di particolare interesse pubblico e, come tali, meritevoli di valorizzazione;
- La recente Comunicazione della Commissione UE denominata "Pacchetto qualità" (GUCE 2010/C 341 del 16 dicembre 2010) inerente alle nuove disposizioni relativamente ai sistemi di certificazione ed alle indicazioni facoltative e di etichettatura che conferiscono valore aggiunto alle proprietà dei prodotti agricoli ed alla loro commercializzazione;
- Gli obiettivi della recente Legge 18 gennaio 2011 su "Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari" (ex ddl 2260/2010) che prevede, tra l'altro, per i prodotti non trasformati l'indicazione del luogo d'origine ovvero il Paese di produzione e per i prodotti trasformati l'obbligo di indicare il luogo dove è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione o allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata.
- Varie leggi regionali volte alla valorizzazione delle produzioni locali e caratteristiche (a volte intese quali “tipiche”, oppure “di nicchia” o “di eccellenza”), alla valorizzazione della filiera corta e a chilometro zero, all’incremento del consumo di prodotti regionali da parte di strutture collettive di ristorazione pubbliche e private, alla tutela del territorio rurale agricolo vocato, alla tutela e valorizzazione del territorio di origine dei prodotti dal punto di vista anche ambientale. Quest’ultimo è il caso dei prodotti a marchio DOAG (Denominazione di Origine Ambientale Garantita) recentemente introdotto dalla Regione Campania.”
Assodato che la De.c.o. è giuridicamente possibile, l’approccio ad essa da parte di un’amministrazione comunale non può prescindere dal supporto di tecnici ed esperti in grado di formulare Regolamenti (di istituzione della/e De.c.o., di uso del marchio, di istituzione del registro comunale, ecc.) normativamente incontestabili, e Disciplinari di produzione degni di questo nome. Difficilmente un Comune, solo con le proprie risorse interne, potrebbe ottemperare alla redazione dei regolamenti ed alla pianificazione e realizzazione di un necessario piano di marketing e comunicazione riguardante il binomio “prodotto De.c.o.-Territorio”, senza il quale il prodotto De.c.o. rimarrebbe solo l’oggetto di una delibera di consiglio comunale, destinata ad essere disattesa e dimenticata, così com’è stato in passato. L’aspetto più importante sta nel riuscire a far emergere i prodotti che diventano De.c.o. creando le condizioni affinché vengano commercializzati e promossi in quanto tali: prodotti reali e che si possono acquistare, con  grande beneficio dell’economia rurale e territoriale .Tutto ciò collima con la suscettibilità di coloro i quali pensano ancora oggi che la “deco” debba essere solo una “filosofia” o un aspetto “culturale” non speculativo, privi di concretezza e risultati economicamente apprezzabili. Ogni prodotto ed ogni territorio esprimono un’identità culturale e gastronomica ed insieme costituiscono il grande patrimonio della cultura culinaria ed enogastronomica italiana. Forse le De.c.o. sono espressione di questa unione delle molteplici tradizioni comunali. Occorre però iniziare ad intendere in maniera univoca la De.c.o., offrendo un ulteriore strumento di crescita, d’immagine ed economica, ai Comuni. Valorizzando i prodotti non solo da un punto di vista culturale, ma soprattutto creando le condizioni per la loro commercializzazione, in grado di portare ricchezza ai comuni d’origine del prodotto, ma soprattutto alle aziende produttrici di esso.